*Donatella Porzi
Richiesti ma introvabili. Continua ad essere uno dei paradossi più evidenti e preoccupanti del nostro mercato del lavoro, quello sulla difficoltà di far incontrare domanda e offerta di lavoro che ci restituiscono le analisi delle diverse associazioni di categoria, della Banca d’Italia e le puntuali rilevazioni mensili della Camera di Commercio dell’Umbria, che proprio ieri ci ha consegnato l’ultimo report.
Da una parte abbiamo ancora molte persone, soprattutto giovani, che vorrebbero lavorare ma restano senza una occupazione e senza uno stipendio mentre, dall’altra parte, le aziende non riescono a trovare le figure professionali di cui hanno bisogno per ricoprire le posizioni scoperte.
Non è una novità. Il Report Unioncamere “Skill mismatch delle imprese” pubblicato a giugno 2024, evidenzia che l’Umbria, dove le imprese hanno difficoltà a reperire oltre un laureato su due necessario, si è classificata terzultima in Italia per la percentuale di assunzioni di laureati sul totale degli avviamenti al lavoro. Nel Rapporto annuale “L’economia dell’Umbria” pubblicato lo scorso 21 giugno 2024 dalla Banca d’Italia, si segnala che dal 2019 le imprese hanno difficoltà crescenti nel reperimento di personale in regione ed hanno dichiarato problemi per oltre la metà delle assunzioni programmate nel corso del 2023, circa 20 punti percentuali in più rispetto a quanto rilevato prima della pandemia.
In sostanza, anche quando le assunzioni sono in aumento, si continua a registrare un forte gap dovuto alla mancanza di offerta più che alla inadeguata preparazione dei candidati.
Proprio i dati più recenti della Camera di Commercio dell’Umbria ci restituiscono uno scenario nel quale questo skill mismatch, come viene comunemente chiamato il disallineamento dovuto alle competenze, in Umbria si è tradotto nella difficoltà, da parte delle imprese, di effettuare 2mila 254 assunzioni su 3mila 168 previste a luglio, 2mila 672 su 4mila 310 programmate ad agosto. A luglio erano 55 su cento, ad agosto la percentuale ha raggiunto per la prima volta il 62%, il secondo dato più alto in Italia.
Non è solo una questione di stipendi, seppur in Umbria si continui a guadagnare meno rispetto alla media del Paese. Questa fotografia, per certi versi impietosa, è frutto di un fenomeno ormai strutturale che risente fortemente di un mix di fattori quali la denatalità e l’invecchiamento della popolazione, l’ancora troppo alto – seppur sceso al 10,5% nel 2023 – tasso di incidenza dei Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) tra i 15 e i 29 anni, un tasso di abbandono scolastico ancora preoccupante.
C’è la questione culturale, per cui gli studenti tendono a scegliere i classici percorsi universitari, che nell’immaginario comune sono ancora più conosciuti e attraenti, a prescindere dall’effettivo riscontro sul mercato del lavoro, tanto che nella nostra regione sono uno su tre gli occupati sovraistruiti, che ricoprono mansioni inferiori ai titoli di studio conseguiti.
Ma molto dipende anche dal fatto che i percorsi di orientamento sono ancora carenti e poco informativi, soprattutto riguardo a quegli studi innovativi e che formano professionalità assai ricercate nelle aziende, come quelle offerti dagli ITS e dalle discipline STEM.
In un contesto così incerto e in rapida evoluzione, caratterizzato dai tre megatrend della transizione digitale, transizione ambientale e la transizione demografica, serve una politica economica e culturale che renda costante il rapporto tra scuola e impresa, centri di formazione e centri per l’Impiego, con la Regione che deve assumere un vero ruolo di coordinamento.
Si parla tanto di politiche attive del lavoro, ma non è sufficiente fare ottime performances con la presa in carico dei soggetti coinvolti, sottoporli a percorsi formativi per upskillig e reskilling, se poi questi stessi soggetti risultano comunque e ancora inadeguati per il mondo del lavoro. Bisogna insegnare ai giovani che le imprese offrono opportunità, anche adeguatamente retribuite, per esprimere il proprio talento e realizzare le proprie ambizioni, ricercando parallelamente indicazioni sul futuro per la programmazione della formazione e per l’orientamento scolastico, universitario e professionale incorporando, oltre agli shock causati dalla pandemia e dallo scenario geopolitico, anche gli effetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Nel rapporto “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e previsionali in Italia a medio termine” stilato da Unioncamere, si stima che nel periodo 2024-2028 l’Umbria avrà un fabbisogno occupazionale complessivo di 51mila unità, derivante principalmente (80%) dalla replacement demand, la sostituzione dei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro e, in seconda battuta, dall’expansion demand (pari a 10mila unità) prevista in base alla crescita economica. Saranno necessarie circa 20mila figure professionali di alto profilo (il 39% del totale regionale), circa 18mila impiegati e professioni commerciali e dei servizi (35%), mentre il fabbisogno stimato degli operai specializzati e dei conduttori di impianti si attesterà intorno alle 9mila unità (17%). Nel quinquennio il 36,1% del fabbisogno occupazionale sarà rappresentato da personale in possesso di una formazione terziaria, il 51,3% da lavoratori con formazione secondaria di secondo grado, cioè un diploma liceale (2mila unità), un diploma tecnico-professionale (14mila unità) o una qualifica/diploma IeFP (10mila unità).
Ci attende una grande sfida, pena i costi derivanti dal minor valore aggiunto che sarà possibile produrre nei diversi settori economici a causa del ritardato o mancato inserimento nelle imprese dei profili professionali necessari.
*Consigliere regionale dell’Umbria