Sono 124mila persone, oltre 38mila le famiglie umbre che vivono in povertà relativa.
Ce lo dice l’Aur, l’Agenzia Umbria Regione mentre fotografa una realtà nella quale sono soprattutto le famiglie più numerose, con minori e con soggetti occupati ad avere maggiori difficoltà economiche. Reggono meglio i nuclei con anziani.
È l’ennesima conferma delle basse remunerazioni del lavoro nella nostra regione, dove si continua a guadagnare meno che in Italia, complici un precariato diffuso e qualifiche schiacciate verso il basso.
Se è vero, come ci dice l’Aur, che in Umbria il tasso di povertà è in linea con quello medio nazionale, pari al 10,9 per cento, non sfugge che si tratta dell’incidenza più alta tra le regioni del Centro-Nord e che, insieme all’Abruzzo, l’Umbria rappresenta il “territorio di passaggio tra un Nord più ricco e un Mezzogiorno più povero”, scrive sempre l’Aur.
La Regione dovrebbe concentrarsi sui problemi e i disagi reali che i cittadini vivono sulla propria pelle e sullo sviluppo concreto del nostro tessuto economico, piuttosto che “dare numeri” sulla crescita del Pil che si rivelano infondati.
Come evidenziato, infatti, da Lucio Caporizzi in questo interessante articolo, la crescita del +3,9 relativa al 2022 dichiarata nel Defr 2024, è stata nettamente ridimensionata dalle stime Istat, che parlano di un +1,3, dato peraltro decisamente inferiore al +3,7 nazionale e al +4 del centro.